Ho sentito parlare di questa gara venti anni fa e mi è rimasta in testa: nuotare 3,8 km in mare, pedalare in bici per 180 km e poi correre a piedi 42,2 km. La chiamano “IRONMAN”, l’uomo di ferro.
Non sapevo andare in bici e non sapevo nuotare, però l’idea non mi ha mai lasciato. Fra i mille impegni di lavoro, la moglie e tre figli, ho imparato qualcosa della bici e poi quattro anni fa, all’età di 44 anni, ho più o meno imparato a nuotare quel poco per mantenere vivo in me il sogno. L’anno scorso, ho “deciso”: «ho 48 anni e prima che la vecchiaia imponga la sua realtà, voglio provarci».
Ho cominciato con l’intenzione di andare durante la settimana 3 o 4 volte in piscina, uscire almeno 3 volte in bici a andare a correre 4 o 5 volte. Alla fine, invece, in settimana ho potuto nuotare una sola volta, uscire in bici due volte, e correre circa tre volte, per cui sono stato costantemente assillato dal pensiero (paura) che non era minimamente sufficiente e che sarebbe stato meglio rinunciare.
Ogni volta però ricordavo che l’età avanza e ciò mi stimolava ad andare in fondo. Ed eccomi qui a Lanzarote, isola vulcanica delle Canarie, pronto per affrontare l’ ”IRONMAN”.
Il taxi mi sta portando a vedere la zona della partenza. Allo stesso tempo mi rendo conto che ho l’adrenalina alle stelle:«Dopo venti anni il sogno si avvera e non mi sembra vero!!». “Signore, la partenza è là”, mi indica il tassista. Guardo in fondo alla mia sinistra e sento tutto il corpo paralizzato, non mi sento di parlare, non sto neanche respirando. Sono in uno stato di panico totale: vedo il percorso in mare segnato dalle boe arancioni, un giro di 1,9 km. e la mia testa sta gridando: «dovrei nuotare due volte quella distanza?! Impossibile!! Forse sono stato veramente sciocco… una cosa del genere solo con i sogni… ci vuole molto più allenamento!!» Mesi di entusiasmo crescente svaniti. «Che faccio? Mi ritiro? Ma cosa dirò ai figli? È una cosa non finire la gara per qualche difficoltà, ma come posso ritornare dicendo che non ho neanche affrontato la partenza? Potrei inventare qualche scusa per giustificarmi, però potrei io stesso accettarlo? No, dopo tutto non mi posso ritirare, devo almeno provare!».
Durante la notte il tempo sembra non passare per la paura che non mi permette di dormire. Approfitto per ricontrollare (3 volte) la bici e le borse (1 per il riscaldamento, 1 per il mare, 1 per la bici,1 per la corsa, 1 per il dopo-gara), cercando di illudermi e rassicurarmi che tutto sia pronto e che quindi tutto andrà bene. Sono cosciente di non sapere nuotare bene e sento di non essere in grado di finire quel giro in mare; figuriamoci farlo per 2 volte. A questo punto quello che mi spinge avanti sono i figli: ripeto più volte a me stesso ciò che ho sempre predicato a loro, «l’avversario vero non sono gli altri, ma te stesso. Affronta e supera la paura».
Mi chiedo se questa volta forse ho esagerato?! La fila per il controllo e la consegna delle bici è lunghissima e l’attesa è proprio insopportabile; sono nervoso da morire. Quelli accanto parlano delle gare precedenti: uno ha fatto l’ironman 7 volte e l’altro 12 volte prima di venire qua a fare Lanzarote. Uno, fissando lo sguardo sulla mia bicicletta, chiede quante volte ho fatto l’ironman: «Questo è il mio primo triathlon» rispondo. «Stai scherzando??» mi chiedono sbalorditi; «No» rispondo. «Ma perché hai scelto Lanzarote, è il più duro di tutti?!», «Perché è abbastanza vicino all’Italia e cade in un periodo in cui posso allontanarmi dal lavoro».
Senza altre parole si girano dall’altra parte e intuisco che è imbarazzante per loro parlare con uno così ingenuo. Un altro mi dice «non ti preoccupare, non sarai solo, ogni anno ci sono tanti che non finiscono. Ho già fatto due volte Lanzarote; tutte le forti e lunghe salite, il sole rovente, il vento terribile, per quei 180 km. ammazzano tanti». «Grazie, almeno non sono solo». Non sono ancora sicuro di entrare in acqua (figuriamoci uscirne!) e lui mi parla del percorso in bici. Decido di non parlare più con nessuno. Finalmente ci siamo. Tocco l’acqua e sembra freddina. Mi dicono che alla partenza sembra d’essere dentro una lavatrice, quindi sto cercando un posto in fondo, dietro tutti. Ripeto spesso: «Non pensare, devi solo non perdere di vista la prossima boa e fare una bracciata a volta fin quando arrivo». Sono quasi le 07:00». ATTENTION – 10 ——- 3 – 2 – 1 – BOOM!!». «Calma Gordon, calma, lascia che tutti vadano via, poi vai tu. L’acqua è freddina».
La corrente viene dalla destra e siccome non so respirare a sinistra, la bocca è sempre piena d’acqua; c’è un brutto gusto di diesel per via delle tante barche attorno. Per quelli che nuotano bene sicuramente questa corrente non è considerata “forte”, ma per me che vengo dalla piscina, è una vera sfida cercare di mantenere la direzione. Cerco di non pensare troppo. Finalmente mi accorgo che sto per arrivare alla spiaggia. «Che succede? Non riesco ad alzarmi in piedi; non ho alcun equilibrio?». Mi alzo e cado, sono costretto a trascinarmi quasi in ginocchio. Mi fermo un po’, raccolgo le forze e riparto per il secondo giro in acqua. Devo continuamente alzare la testa per cercare le boe mentre la corrente mi spinge via; il collo e la schiena sono sempre più a pezzi, e guardare in avanti è sempre più difficile. A circa 3 km un orribile senso di panico; non sento completamente i piedi, le mani e gli avambracci. «Mi fermo? NO! Mi fermo? NO! Mancano solo 800m ed è fatta! VAI, NON MOLLARE!! Usa la fantasia. Ricorda i film di ROCKY! L’ultima campanella non è ancora suonata!!». Sento qualcuno che grida: «Sei fuori “corso”», ma a stento riesco ad alzare la testa per vedere dove andare e le braccia sono tanto pesanti. «Dai che ce l’hai fatta!!».
Esco dall’acqua in ginocchio e comincio a ridere e piangere come un pazzo. Per un attimo sperimento una gioia profonda e speciale: ho superato il peggio! Ora devo solo cambiarmi i vestiti e salire in bici. Qu – Que – Questo non ci vo – vol voleva, i denti battono e tutto il corpo trema, sono in ipotermia. Non mi preoccupa però perché fuori la tenda il sole si sta alzando e fra poco starò morendo di caldo. È difficile vestirsi, però, quando tutto il corpo non sta fermo. Meno male che ho montato il rapporto super leggero (39-27) perché all’uscita della zona cambio c’è già una leggera salita con il vento contrario e sono cosi stanco della nuotata che quasi non ce la faccio. Questa strada fatta di materiale vulcanico è molto dissestata e la vibrazione è tremenda (e pensare che devo fare ancora 170 km).
Supero uno che ha bucato una ruota e prego che non capiti pure a me, perché dubito che avrei la forza di fermarmi , riparare la ruota e poi ripartire. Le ore passano, mangio , bevo e sembra che recupero le forze; sembra che ho ripreso un buon equilibrio. 115 km
e ancora salite con il vento in faccia e il sole che picchia. Non è un caso che dicano che è il più duro ironman del mondo. Vedo il segnale di 120 km e faccio i calcoli per finire la frazione di bici entro il tempo limite, prima di essere tagliato fuori dalla gara. «Non ce lo farò mai così; devo dare tutto ormai».
Per cui sono obbligato a forzare il ritmo senza risparmiare nulla. Le gambe rispondono bene e nei gli ultimi 60 km (per fortuna) il vento soffia alle spalle e il percorso è più in discesa. Grido parole di incoraggiamento ad uno che supero, e vado avanti con tanta paura di non riuscire ad arrivare prima del tempo massimo. «Vai! 150 km??… 160 km?… 170km … si (credo?), ci siamo 180km… SI!! Ahi, come mi fa male il sedere, ma che mi importa, sono ancora in gara! Devo solo cambiarmi e cominciare a correre».
Sto cambiando i vestiti e improvvisamente mi sento male, devo vomitare. Il corpo è in crisi con contrazioni violentissime. Sento che non riesco a controllare il corpo… poi da dentro «CALMA, devi trovare la CALMA». Piano piano il corpo comincia a calmarsi e riesco a riprendere il controllo. Ora mi fanno male le costole, ma almeno le gambe “girano”. Sono stanco ma contento perché la corsa è la mia specialità; mi sento abbastanza sicuro e sono ancora in gara. Quattro giri per 42,2 km ed è fatta. A 10 km tutto è tranquillo. A 15 km sto pensando che sarebbe stato meglio usare scarpe più morbide e con più protezione. Quasi 20 km e sento tutto il corpo cominciare a stare male, non ho più voglia di bere o mangiare. «Sto passando solo un’altra crisi, magari cammino un po’ per riprendermi e poi ripartirò». 22 km e non riesco più a ripartire per correre, stento a camminare. Nasce di nuovo l’angoscia di guardare l’orologio e preoccuparmi di farcela entro il tempo massimo. I chilometri non passano mai, la parte della gara che “doveva” essere “mia” (dato che vengo dalla corsa) è diventata un calvario. Nella testa non c’è niente chiaro; solo un pensiero: «Non fermarti» Ripeto mille volte. Intanto il caldo infernale ha lasciato posto al freddo della notte; il vento mi penetra fino alle ossa.
Vedo una scatola di cartone accanto al bidone della spazzatura e tutto insieme sembra essere un vecchio e caro amico: la strappo e la infilo sotto la canottiera davanti e dietro per sentirmi un po’ più di caldo. «30 km, ancora 12 km! Non ce la faccio più! SI invece, DEVI! Non fermarti! Dopo tutto non è possibile che ti arrendi ora; se le gambe reggono ancora, VAI!!». Ormai ci sono pochissime persone in giro, i negozi sono chiusi e la maggior parte degli spettatori sono andati a casa. Solo i giudici di gara, qualche atleta, qualcuno ai tavoli di rifornimento e il freddo insopportabile rimangono. 35 km, 40 km, si, finalmente svanisce la paura e sono sicuro di finire in tempo. Comincio ad ogni passo ad assaporare il successo: ce l’ho fatta!!!
Il dolore, il freddo e la fatica mortale sembrano svaniti e vedo e sento solo l’arrivo. Sto sorridendo e ringraziando il Signore per tutto. Sto veramente godendo questo momento, per avere realizzato venti anni di sogno. Passo la striscia, ricevo la medaglia al collo ed è fatta; 15ore e 42 minuti! Però, devo ancora ritirare tutte le varie borse, dare un documento per avere la bici indietro e poi ancora arrivare (con tutte queste cose in braccio) all’albergo dove mi aspettano 3 piani da salire senza ascensore. Ma non mi importa; non c’è “un limite di tempo” e nel frattempo sono un uomo FELICE!
Il dottor Nicholson non è nuovo a questo genere di imprese: infatti nel 1998 si è cimentato in un’altra avventura forse anche più difficile, la 13° maratona delle sabbie in Marocco. Oltre 500 atleti in provenienza da 27 paesi, 229 chilometri di percorso in divisi in 6 tappe tra dune, sabbia, discese, campi di rocce e vesciche ai piedi… Gordon avrebbe messo la firma per finire tra i primi 50 e invece… 14° posto assoluto alla fine.