Vent’anni di sport a livello agonistico non sono pochi. Anni di allenamento, di fatica, di gioia, ma inevitabilmente di logorio. Atletica leggera, arti marziali, arrampicata su roccia. Un bel cocktail per muscoli e articolazioni. Dall’età di 15 anni ho fatto sport intensamente, allenandomi fino a 6 giorni la settimana, nei periodi più intensi.
Adesso, a 35 anni, la passione è sempre la medesima e, tutto sommato, anche le energie. Ma il freddo, gli sforzi intensi, certe condizioni ambientali lasciano un segno diverso, è indubbio.
Da qualche anno mi sono accorto, a mie spese, che bisogna badare a riscaldarsi bene prima di ogni esercizio, perché altrimenti non è il rendimento che diminuisce, ma la contrattura muscolare che affiora, l’infiammazione articolare, dolori e doloretti. La longevità sportiva non può che essere frutto di un’oculata gestione delle risorse, un po’ come se si trattasse di un’azienda. Ma talvolta non basta.
Come arrampicatore avevo un progetto. Salire una via difficile e bella. Nell’entroterra di Finale Ligure, in Riviera, si trova uno dei comprensori di arrampicata più famosi d’Europa. E lì si trovano quasi 2000 itinerari di arrampicata, di tutte le difficoltà. Da quando iniziai ad arrampicare, nel ’92, ero sempre rimasto affascinato da una parete particolare. Compatta, grigia, perfetta, roccia eccellente, solare. Si chiama “Hyaena”, è valutata 8b/8b+ e fu salita per la prima volta da Andrea Gallo nel 1986. Da allora è stata ripetuta pochissime volte.
La passione mi spinse a provare, ma le difficoltà erano notevoli. Gli allenamenti e i tentativi si alternavano, con grande tensione e con grande sforzo. E cominciò ad affiorare LEI. E sì, LEI. Non la chiamavo con il suo nome, banale, di “contrattura”, perché mi sembrava riduttivo. Riusciva ad avere un effetto così importante su di me, sui miei progetti, su ciò che amavo fare che chiamarla “contrattura” era davvero poco. Era LEI. Un certo movimento che dovevo eseguire su quella via mi portava inevitabilmente una contrattura alla parte destra posteriore del collo, con un fastidioso senso di indolenzimento che si irradiava per tutto il braccio destro, fino al mignolo e all’anulare.
Certo, a muscoli caldi tutto andava bene, ma LEI peggiorava sempre più. A volte giungeva anche in allenamento e in quelle occasioni imparai a combatterla con indumenti adatti, che mantenessero calda l’articolazione. Ma sul campo, in parete, era tutto più difficile. Per ricercare le migliori condizioni di aderenza della roccia, bisognava provare quella via d’inverno, quando faceva molto freddo. E questo non aiutava… Qualche timido approccio con l’ortopedia tradizionale fu totalmente deludente. Nella migliore delle ipotesi non mi si riscontrava nulla, nella peggiore mi si consigliava di riposarmi e di dedicarmi alle passeggiate. Buonanotte.
Rispolverai allora la Chiropratica, che già qualche anno fa mi aveva risolto un molesto problema di sciatalgia. Fu doloroso, molto doloroso, innegabilmente. Ma fu un’occasione di consapevolezza.
La manipolazione, di certo, ebbe un effetto diretto su di LEI. Ne attenuò l’intensità, ne diradò le apparizioni. Ma quello che trassi da quel ciclo di sedute di Chiropratica non fu solo la guarigione dal malanno, che pure è cosa fondamentale, quanto piuttosto un’accresciuta consapevolezza corporea. La mia esperienza personale mi fa intuire che questo sia davvero il migliore dono che ci può fare un chiropratico. L’insegnamento che ci può fornire sul nostro corpo, nel conoscerne i limiti, e i modi di esprimersi. A poco a poco si comincia a capire PRIMA quando sta per succedere QUALCOSA, e ci si può fermare in tempo, per concedere quel riposo che il nostro corpo esige, ma che la nostra mente (la nostra volontà, la nostra ambizione) non sarebbe di per sé razionalmente disposta a concedere. È la riscoperta di un ritmo, di un modo di essere in armonia con la propria fisicità che per chi fa sport è fondamentale, ma che di certo è fonte di benessere per tutti.
Nella routine di allenamento e tentativi in parete, inserii anche il periodico incontro con Eddy Pellissier. La partita a questo punto era a tre, e in certi momenti mi sembrava proprio che salire quella via fosse divenuta una faccenda di squadra. Non fu facile, tutt’altro, ma finalmente LEI retrocedeva, ed era un grosso ostacolo in meno. Mi venne naturale, quando finalmente, nel gennaio 2002, riuscii a salire quella via, di telefonare a Eddy per dirglielo, come se fosse divenuto un compagno di scalata…